Si propongono di seguito, come sempre senza pretese di esaustività, alcune selezionate sentenze della Cassazione Penale (dalle più recenti alle più risalenti) che evidenziano da un lato i principi giuridici affermati e ribaditi dalla Corte in materia e dall’altro come essi vengano applicati a casi specifici.
Prendiamo le mosse anzitutto da una interessante sentenza dell’anno scorso (Cassazione Penale, Sez.IV, 20 febbraio 2020 n.6566) con cui la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di una datrice di lavoro (V.F.) per aver causato ad un operaio meccanico (L.L.) una lesione personale grave consistente nell’amputazione di una falange del terzo dito della mano sinistra.
In particolare, la ricorrente “consentiva che il L.L., intento a tagliare pezzi metallici mediante l’impiego di una sega a nastro orizzontale, nel raccogliere manualmente degli sfridi di lavorazione urtava con la mano sinistra la lama in movimento, in un tratto non adeguatamente protetto, cagionandosi la lesione sopra meglio descritta – per colpa specifica consistita nel non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi alle disposizioni normative, in particolare nell’aver predisposto una sega a nastro orizzontale priva dei requisiti di protezione e sicurezza indicati ai punti 1.3.8.1. e 1.4.1. del D.Lgs. n.17 del 2010 (art.70, comma 1, D.Lgs.n.81 del 2008).”
La sentenza specifica che “il L.L. risultava essere stato fornito di dispositivi di sicurezza individuale nonché adeguatamente formato ed informato dei rischi di utilizzo del macchinario” e che egli, nel compiere l’operazione su ricordata, aveva indossato i guanti.
La Cassazione ribadisce anzitutto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, “la responsabilità del costruttore, nell’ipotesi in cui l’evento dannoso sia stato provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, in altri termini, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro utilizzatore della macchina, giacché questi è obbligato ad eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti chiamati ad avvalersi della macchina.”
E “a tale regola, fondante la concorrente responsabilità del datore di lavoro, si fa eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza, per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina (Sez.4, n.1216 del 26/10/2005 dep.2006, Mollo, Rv.233174-5).
Con riferimento al caso specifico, la Corte precisa che, “coerentemente con i principi sopra ricordati”,i Giudici d’appello “evidenziano che la marchiatura CE della sega non può valere ad escludere i suindicati profili di colpa a carico dell’imputata.”
Infatti, “al riguardo della certificazione CE, va ribadito quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, ossia che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati e risponde, pertanto, dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità “CE” o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarli dalla loro responsabilità.”
Questo perché sul datore di lavoro “grava l’obbligo di eliminare ogni fonte di percolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori e che a detta regola può farsi eccezione nel solo caso in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza, il che non era nel caso di specie”.
Fatte tali premesse in diritto, quanto alla decisione sulle responsabilità della datrice di lavoro nel caso di specie, la Corte “annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato non punibile per particolare tenuità del fatto” in quanto “depongono in senso favorevole alla V.F. i seguenti elementi ricavabili dal contenuto delle sentenze di merito: a) la mancata indicazione di precedenti penali, circostanza da cui è possibile desumere l’incensuratezza dell’imputata; b) l’avvenuto risarcimento del danno; c) la valutazione di non eccessiva entità del fatto tenuto conto della condanna ad una pena solo pecuniaria, in entità estremamente ridotta già con la sentenza di primo grado; d) l’acclarata esclusione della possibilità di qualificare la perdita della falange come indebolimento permanente.”
Passiamo ora ad esaminare una sentenza di qualche anno fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 21 dicembre 2016 n.54480) che ha confermato la condanna di P.G. per omicidio colposo “in quanto, in violazione degli artt.70, 71 e 72 d.lgs,n.81/2008 aveva cagionato per colpa la morte di R.S., rimasto schiacciato tra i rulli di una macchina raccoglitrice semovente per tabacco non provvista di efficiente sistema di sicurezza, tale da bloccare il funzionamento in assenza del conducente sul sedile di guida.”
In particolare “R.S., operante all’interno dell’azienda agricola dell’imputato, sceso dalla macchina raccoglitrice di tabacco che conduceva, era rimasto incastrato nei rulli della predetta raccoglitrice restandone poi schiacciato, a causa della mancata attivazione del meccanismo di spegnimento automatico, ossia di un interruttore posto al di sotto del sedile di guida, che avrebbe dovuto attivarsi allorquando l’operatore fosse sceso dal mezzo.”
La Corte d’Appello aveva accertato che “dalla relazione del 25/10/2010 dell’lspesl, acquisita nel corso del dibattimento, era emerso che la macchina raccoglitrice era dotata di un dispositivo posto all’interno del sedile di guida per rilevare la presenza dell’operatore; che detto dispositivo era costituito da un interruttore i cui elementi principali erano rappresentati da due lamine conduttrici di rame separate da una imbottitura di spugna; che, deteriorandosi l’imbottitura, le lamine restavano in contatto, impedendo lo spegnimento della macchina al momento della discesa del conducente del mezzo”.
Inoltre i Giudici d’Appello avevano ritenuto che “il P.G. avrebbe dovuto assicurarsi della conformità del mezzo alle norme di sicurezza, soprattutto in ragione del protratto utilizzo negli anni che ne aveva certamente determinato l’usura; essendo peraltro agevole, nella specie, il controllo del dispositivo posto sotto il sedile di guida ed essendo emerso che il mancato funzionamento del meccanismo di spegnimento era dovuto al deterioramento dell’imbottitura posta a copertura delle lamine”.
E ancora, sempre gli accertamenti di merito avevano evidenziato che “non aveva condotto a risultati convincenti la prova circa il perfetto funzionamento della macchina raccoglitrice al momento della consegna al R.S. per la lavorazione né la circostanza circa l’avvenuto espletamento degli adeguati controlli, da parte dell’imputato, sulla macchina raccoglitrice” e che “non era stato provato che il P.G. avesse impartito alla vittima adeguata formazione sull’uso del mezzo.”
A fronte di tale quadro, il ricorrente – tra i vari motivi di ricorso – “sostiene la riconducibilità del sinistro al caso fortuito in quanto egli, fidando sulla omologazione CE del dispositivo acquistato, non avrebbe potuto neppure con la massima diligenza richiesta avvedersi della difettosità del macchinario, che solo l’esame dei tecnici dell’lspesl aveva accertato.”
La Cassazione rigetta tale argomentazione in quanto – come si è già avuto modo di sottolineare – “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell’infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità CE o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità”.
Applicando questo principio al caso di specie, dunque, secondo la Corte “era proprio il datore di lavoro a dover assicurare la efficiente manutenzione del mezzo, salvaguardando il corretto e perdurante funzionamento del dispositivo di sicurezza.”
Infatti “si trattava, invero, di un macchinario in uso da oltre sei anni, adoperato nei campi per la raccolta del tabacco e quindi costantemente esposto da agenti esterni”.
Per tali motivi “non può, quindi, affermarsi la sussistenza di un vizio di progettazione e nemmeno che l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina fosse impossibile: al contrario, è indiscutibile che il P.G., che aveva acquistato il mezzo, era a conoscenza dell’esistenza dell’interruttore “presenza uomo” posto sotto il sedile (il quale dunque non può considerarsi dispositivo occulto) e conseguentemente restava pienamente responsabile del relativo funzionamento.”
Concludiamo richiamando Cassazione Penale, Sez.IV, 14 giugno 2016 n.24708, che ha avuto modo di chiarire (in relazione ad un caso per l’approfondimento del quale, per esigenze di brevità, si rinvia alla sentenza integrale) che le disposizioni che hanno dato attuazione alle Direttive Europee sulle macchine, “pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato le prescrizioni a tal fine necessarie.”
Sotto tale profilo,infatti, “è stato anche chiarito che l’obbligo di aggiornamento previsto a carico del datore di lavoro dall’art.4, comma 5, lett.b) d. lgs. 19 settembre 1994, n.626 (ora art.18, comma 1, lett.z), d.lgs. 9 aprile 2008, n.81) va valutato in relazione al generale obbligo incombente sul datore di lavoro di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori; quest’ultimo è, infatti, un obbligo assoluto che non consente, anche in considerazione del rigoroso sistema prevenzionistico introdotto dal citato decreto legislativo, la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (Sez.3, n.47234 del 4/11/2005, Carosella, Rv. 233191).”